Introduzione

CasaPound è una comunità in movimento. Come tutte le cose che vivono e si muovono nello spazio e nel tempo con una volontà propria (Popoli, Nazioni, Civiltà), anche la nostra comunità sa che la realtà non può essere affrontata come un’entità statica. Essa evolve e richiede partecipazione e immersione da parte nostra: “Per agire tra gli uomini, come nella natura, bisogna entrare nel processo della realtà e impadronirsi delle forze in atto”.

L’essenza di ogni popolo è il movimento: movimento di un progetto storico, movimento di una mobilitazione nazionale, movimento di una direzione politica, movimento di un ideale sociale, movimento di una conquista tecnica del mondo. Per questo motivo CasaPound, all’inizio di questo 2025, decide di concretizzare il suo nuovo programma.

A cosa serve? Di certo non ad avere un formulario di frasi pronte o ricette facili da realizzare. Assecondando un cambiamento di paradigma che è già in fase di autorealizzazione da alcuni anni per azione diretta dei nostri gruppi dirigenti politici, culturali e studenteschi, torniamo a rimettere al centro l’Europa. Anche e soprattutto nel nostro programma: pubblico e visibile a tutti.

A fronte delle nuove minacce che sopraggiungono dal mondo globalizzato a trazione finanziaria, come il crollo demografico e l’immigrazione di massa, riteniamo opportuno, per necessità vitale, cercare una posizione d’osservazione più alta: come il cacciatore che sale sull’altura o la montagna per dominare meglio il suo campo d’azione, anche noi dobbiamo salire per vedere il più lontano possibile. All’orizzonte vediamo l’Europa. L’Europa che ancora non c’è. L’Europa dei nostri figli.

È doveroso e doloroso ammettere questa realtà: l’Europa che oggi esiste non ci piace, così come non ci piaceva dieci anni fa. La nostra critica resta: un’Europa debole, lenta, burocratica, fuori dalla storia. La nostra risposta cambia: a fronte di una convergenza storica di catastrofi che metteranno a dura prova la nostra esistenza come popoli nativi di questo continente, riteniamo giunto il momento di farla finita con velleità separatiste o fintamente indipendentiste.

L’indipendenza, così come ci insegna la nostra storia nazionale, si conquista ricercando l’unità d’intenti e scopi, dalla fondazione di Roma fino a Vittorio Veneto. È giunto il momento di cercarla ed avverarla in prospettiva europea: “una volontà unica, formidabile, capace di perseguire uno scopo per migliaia di anni”.

La sovranità va conquistata europeisticamente in tutti i campi dell’agire politico: dall’economia al welfare, dal lavoro alla sanità, dalla natalità alla difesa, dalla cultura all’informazione. Punti che restano elementi cardine della nostra visione del mondo attiva.

Il “Limes” – parola a noi sacra – non va soltanto difeso ma anche e soprattutto esteso per adempiere perfettamente al progetto d’ordinamento del mondo di cui abbiamo l’ambizione d’essere portatori. CasaPound ha sempre avuto questa vocazione. Una forza dinamica che ha risvegliato in tutta Italia e in tutta Europa movimentismo e cameratismo.

Abbracciamo quindi l’Europa nel nostro Limes, con la consapevolezza che solo una forza sociale, identitaria e nazionalista in senso europeo potrà costruire l’alternativa che da secoli è speranza e tormento di ogni anima che lotta contro le forze dell’usura internazionale, apolide e senza patria.

PER UNO STATO PROTAGONISTA

meccanismi tecnocratici da una parte e le Ong dall’altra convergono oggi nel colpire l’assetto statale quale depositario della sovranità, del potere decisionale, della potenza nazionaleÈ imprescindibile, perciò, una riaffermazione dell’autonomia della politica, oltre le indebite pressioni dei “mercati” e delle sedicenti “lotte per i diritti”.

Sovranità, popolo e territorio restano le parole d’ordine sulle quali costruire una concezione della figura statale capace di far fronte alle sfide della modernità. Rifuggendo tentazioni conservatrici e reazionarie, questa operazione esige, innanzitutto, una radicale riforma costituzionale che assicuri un esercizio efficace del potere statale.

Contrariamente a quanto talvolta si crede, una riaffermazione della politica in senso forte non deve comportare un’ipertrofia burocratica, che, anzi, della potenza dello Stato è nemicaPer essere all’altezza dei tempi, la politica deve ripensarsi in senso dinamico, in modo da incanalare le forze vitali della comunità nazionale verso l’interesse comune.

PER UN'EUROPA POTENZA

Vogliamo più Italia in Europa e più Europa nel mondo. Il fatto che l’Unione Europea appaia spesso inconcludente, inconsistente, lenta, debole, non deve portarci a estendere la critica delle sue mancanze all’unificazione europea in sé. Nell’epoca dei grandi spazi, il ripiego piccolo-nazionalistico è una scelta suicida.

Per non parlare del fatto che il sogno di un’Europa potenza è stato al centro delle aspirazioni delle migliori avanguardie continentali da almeno due secoli. Noi dobbiamo quindi riaffermare con forza nel mondo il genio europeo, lo stile europeo, e all’interno di esso imprimere il segno del genio italiano e dello stile italiano.

Per far questo, dobbiamo avere la forza di pensare a un’altra Europa, che tuttavia non resti una parola d’ordine vaga, inconsistente e consolatoria, da evocare magari per compensare prese di posizione antieuropee concrete.

Il progetto dell’altra Europa deve essere operante qui e ora, a partire dalle condizioni politiche date, senza illusori salti all’indietro.

TORNARE CIVILTÀ

Dall’Italia e dall’Europa sono venute, nel corso dei millenni, la cultura, la scienza e l’arte che hanno cambiato per sempre la storia dell’umanità. Questo ruolo storico dei nostri popoli li ha resi da sempre la bestia nera di chi aspira all’omologazione universale e alla fine della storia.

Da qui la colpevolizzazione di tutto il nostro passato preso in blocco. Negli ultimi anni, grazie alla cosiddetta cultura della cancellazione, l’intento etnocida e culturicida del pensiero dominante si è fatto esplicito. Lo sradicamento dei nostri popoli dal loro suolo spirituale è peraltro di portata più ampia e coinvolge settori della società più vasti dei soli ambienti intellettuali «antifascisti» e «antirazzisti».

Basti pensare:

  • Alla distruzione del nostro modello di istruzione, soprattutto classica.
  • Alle proposte di legge provenienti da modelli giuridici anglosassoni che minano il concetto di libertà e diritto, base della nostra civiltà per secoli.
  • Al diffondersi di modelli politici retrogradi come il conservatorismo, il liberismo repubblicano, e l’individualismo anarcoide.

A queste derive non si risponde diventando custodi dei monumenti, indignandosi con i nuovi barbari o “blindando” il nostro passato, ma con il coraggio di essere di nuovo civiltà, creando un nuovo modello di giustizia che possa ispirare anche gli altri popoli, pensando il futuro in maniera creativa.

Solo se sapranno modellare il futuro, l’Italia e l’Europa potranno preservare il loro passato.

PER LA POTENZA DEMOGRAFICA

Un popolo che non fa figli è un popolo condannato all’estinzione.

Nel 2020, il tasso di natalità dell’Italia è calato fino a raggiungere 1,24 figli per donna. Se togliamo dal calcolo le residenti straniere, il dato scende a 1,17, il più basso di sempre. Per mantenere costante la struttura demografica di una nazione, ogni coppia dovrebbe avere almeno due figli, o meglio 2,1: questo è il cosiddetto «tasso di sostituzione».

Ciò vuol dire che oggi, così come negli ultimi anni, gli italiani che muoiono sono più numerosi di quelli che nascono. Se la tendenza non verrà invertita, nei prossimi decenni l’Italia andrà incontro a uno spopolamento massiccio, con tutte le ricadute negative del caso: economiche, sociali, politiche, militari e geopolitiche.

A questa situazione hanno contribuito vari fattori: la mancanza di sostegni alle famiglie, il precariato e la mancanza di garanzie che minano le certezze dei potenziali genitori, l’insicurezza crescente che rende ansiogena la prospettiva di dover crescere un minore in questo mondo.

Ma il problema è soprattutto culturale e spiritualeun popolo che non fa figli è un popolo che non crede nel proprio futuro, che non ha speranza, che non ha forza propulsiva.

Noi dobbiamo garantire condizioni sociali degne e un ambiente generale confortevole per le famiglie, affinché ogni nuova nascita possa essere accolta con gioia e non con ansia. Ma dobbiamo soprattutto ridare forza a questo popolo, affinché torni a perpetuare se stesso.

REMIGRAZIONE E RICONQUISTA

L’Italia e l’Europa si trovano al centro di un grande gioco ideologico, economico e migratorio che tende alla sostituzione etnica dei nostri popoli: questo è l’unico vero neo-colonialismo che vuole estirpare la nostra identità, servendosi della doppia azione di truppe straniere e intellighenzia locale.

Vogliamo quindi mettere in campo due parole d’ordine che rispondono ad altrettante esigenze vitali: remigrazione e riconquista.

1. Remigrazione totale e senza compromessi di tutti gli immigrati irregolari presenti sul nostro territorio, incentivando altresì il rimpatrio volontario verso i paesi d’origine per tutti i discendenti d’immigrati nati in Europa, attraverso strumenti di collaborazione diplomatica ed economica con i paesi d’origine. Vogliamo incentivare un discorso identitario che metta al centro il concetto: un popolo, una terra.

2. Riconquista integrale degli spazi cittadini e urbani abbandonati a degrado, insicurezza e legge del più forte. È necessario un grande sforzo di riqualificazione delle città, lottando altresì contro le forze che trasformano singolarità paesaggistiche e culturali uniche in non-luoghi di transizione: iperturismo, gentrificazione, speculazione edilizia.

Vogliamo piani regolatori che mettano al centro:

  • L’equilibrio tra residenti e visitatori
  • La protezione delle aree residenziali tradizionali
  • La salvaguardia del patrimonio storico-architettonico-ambientale
  • La difesa degli immobili dai grossi fondi speculativi
  • La promozione di una nuova edilizia popolare basata sul mutuo sociale
  • Lo sviluppo delle aree rurali per disincentivare l’emigrazione.

Lo spazio e l’ambiente sono specchi della nostra attitudine verso il mondo ma soprattutto verso noi stessi: emigrare vuol dire sopravvivere, abitare vuol dire vivere. Qui come in tutto il mondo.

PER L’UMANESIMO DEL LAVORO

Riteniamo che il lavoratore, o meglio il “produttore”, vada posto al centro della comunità nazionale. In questa ottica, il lavoro va visto come “dovere sociale”, servizio alla comunità, mobilitazione del mondo. Di conseguenza, l’obsoleta divisione tra capitale e lavoro viene naturalmente meno, tutta la sfera della produzione nazionale, a qualsiasi livello, configurandosi come lavoro nel suo senso più profondo.

Da qui la necessità di attuare forme di partecipazione paritaria nelle strutture aziendali e modelli di rappresentanza politica su base corporativa. Nemica del lavoro, e quindi della nazione, è invece ogni forma di capitalismo puramente finanziario, globalista e prevaricatore. Globalizzazione, immigrazione, delocalizzazioni e capitalismo finanziario sono elementi del contesto economico sociale degli ultimi decenni contro i quali dobbiamo obbligatoriamente combattere.

PER UN NUOVO CONNUBIO TRA SCUOLA E VITA

Come ogni lavoro concepito in senso spirituale, la formazione scolastica deve ritrovare la sua connessione con la vita dei suoi protagonisti: gli studenti. Oggi la Scuola e l’Università sono scollegate dalla vitalità per essere adeguate alle degenerazioni di una società atrofica: statica e paralizzante, burocratica e livellante, precaria e precarizzante. Contestualmente allo svuotamento di senso della scuola, sia pratico che spirituale, assistiamo al riempimento di questa scatola vuota con programmi ideologici che mirano alla costruzione del non-cittadino globale, senza storia e senza identità. Da una parte abbiamo un mondo scuola artificiale e ovattato, dall’altra un mondo reale in accelerazione e violento.

Se la società sta diventando troppo egoista, materialista, atomizzata e preda delle logiche della finanza più crudele, la risposta dei riformatori non è di invertire la rotta puntando ed investendo sull’educazione dei giovani italiani, bensì di adeguare la scuola alla crisi, facendone la scuola dei crediti, dei debiti, dei manager, dei tagli. Una scuola senza carne né sangue, senza sudore né coraggio. Senza prospettive.

Contro la scuola del precariato e della decostruzione vogliamo una scuola sociale, identitaria e giovanile: una scuola dove allenamento, fatica, sacrificio, scoperta e superamento delle proprie fragilità facciano rima con il desiderio di migliorare nel corpo e nella mente. Una scuola finalmente “sportiva” che metta al centro della formazione il corpo in movimento per una crescita integrale dell’individuo in rapporto con la natura, la cultura, la tecnica e soprattutto la comunità. Una scuola dove pensiero e azione vanno di nuovo d’accordo. Una scuola che eleva. Noi vogliamo educare l’uomo “reale” e “totale”: parte integrante di una comunità di destino, volontario nei grandi sforzi produttivi comunitari, protagonista di un nuovo progetto storico per l’Italia e l’Europa.

PER UNA VIA ITALIANA ALL’ENERGIA

L’energia, da qualsiasi fonte e con qualsiasi tecnologia, o la conquisti e la domini oppure la devi comprare da altri. Mentre i competitor internazionali avanzano a ritmi serrati per la conquista di tecnologie e materie prime, non basterà né all’Europa né all’Italia produrre complessi piani pluriennali per la decarbonizzazione e la biodiversità, occorre piuttosto colmare rapidamente il gap tecnologico e industriale. La prima risorsa è sempre e da sempre l’intelligenza, la creatività, la capacità di trovare soluzioni.

L’Italia nell’era della transizione ecologica può e deve giocare un ruolo da grande protagonista nel riposizionamento del sistema energetico mondiale a partire dalle grandi imprese ancora a controllo pubblico (Enel, Eni, Terna e Snam), con le quali trainare una transizione energetica basata sul controllo di tutte le fonti – gas e petrolio, rinnovabili, nucleare – finalizzata a difendere la capacità di produzione industriale e a rafforzare l’innovazione.

Deve essere di primaria importanza la definizione di una strategia energetica comune, non solo finalizzata alla costruzione di un impianto normativo green, ma soprattutto determinata a favorire lo sviluppo di un settore industriale in grado tanto di controllare i flussi delle fonti quanto di produrre sistemi e componenti.

Una strategia energetica nazionale mirata a ridurre la dipendenza dalle importazioni e a sviluppare un settore industriale sembra possibile sia per il nucleare sia per le rinnovabili elettriche. Una strategia energetica che possa svilupparsi in due archi temporali diversi: nel breve e medio periodo.

Nel breve periodo fondata su una rinnovata forza per la gestione immediata della crisi energetica, e dunque basata sia sul contenimento dei prezzi e delle fluttuazioni commerciali che sulla diversificazione delle forniture di gas, sulla immediata realizzazione di rigassificatori, sulla riattivazione di giacimenti nazionali.

Nel medio periodo fondata sulla sicurezza e sulla ricerca dell’indipendenza energetica, con un chiaro e forte piano d’azione per lo sviluppo delle rinnovabili elettriche (fotovoltaico, eolico e idroelettrico) e del nucleare di nuova generazione, guardando con attenzione allo sviluppo dei piccoli reattori nucleari Smr.

PER UNA SOVRANITÀ TECNOLOGICA

L’Europa è stata la culla di praticamente tutte le scoperte scientifiche significative della storia umana. All’interno della civiltà europea, l’Italia, da Leonardo da Vinci a Guglielmo Marconi, ha incarnato una via particolarmente creativa, pratica, efficace. Gli italiani trovano soluzioni dove altri si pongono problemi metafisici: questa vena creativa può aiutarci a superare anche le impasse filosofiche e pratiche contemporanee riguardo a pratiche tecnologiche come l’intelligenza artificialel’energia nuclearela conquista spaziale.

In tutti questi ambiti, dobbiamo portare il nostro spirito di concretezza e umanità. La tecnologia è, oggi più che mai, un vettore ineludibile di sovranità: o si è padroni delle tecniche, o si è schiavi di chi lo è. Se si rifiuta la sfida della tecnica, si è anche costretti a subire gli effetti collaterali di altri modelli tecnoscientifici non in linea con i nostri valori (come per esempio quelli americani o cinesi). L’unico modo per evitare gli esiti distopici di certe pratiche è quindi il loro padroneggiamento.

PER LA COSTRUZIONE DEL NOSTRO PAESAGGIO

Da sempre, l’uomo europeo ha curato i propri luoghi, li ha plasmati fino a diventarne un tutt’uno, rispecchiandosi in essi e costruendone insieme la propria concezione di civiltàL’ambiente, una volta plasmato, diviene paesaggio, ovvero ciò che caratterizza i popoli. Il paesaggio è il tramite grazie al quale ci interfacciamo con un popolo che ha saputo integrarsi e plasmare un ambiente, rispettandolo e custodendolo come parte di sé.

Ecologia non è «salvaguardia» di un mondo «incontaminato», ma costruzione di un nesso armonico, produzione di un mondo di forme. Il paesaggio rappresenta la visione dei grandi uomini e il modo con cui questi vedono l’ambiente, anzi, lo onorano e lo curano. Lì dove c’erano distese di paludi, fanghi, belve feroci e zanzare della malaria, Romolo ha visto un’Urbe immortale, ed i suoi successori hanno visto la sua grandezza così come noi oggi la conosciamo; lì dove c’era una laguna inospitale, oggi sorge Venezia; ogni luogo e paesaggio in Italia incarna la nostra visione.

La cultura contemporanea offre come massimo orizzonte ecologico solo un individualistico ed emotivo senso di colpa, offrendo come soluzione a tutti i mali l’acquisto di prodotti esotici provenienti dalla parte opposta del globo; ecologia come strategia di marketing. La nostra cultura ecologica deve essere concreta e puntare all’essenza: filiere localicura del territoriotutela dei luoghi condivisi e di aggregazione; ma anche sprigionamento di tutte le potenzialità di un territorio.