Giovanni Berta: il Primo Martire Fascista tra violenza politica e memoria storica

Giovanni Berta: il Primo Martire Fascista tra violenza politica e memoria storica

Giovanni Berta: il Primo Martire Fascista tra violenza politica e memoria storica

La memoria attiva è un’attitudine dello spirito che dovrebbe permettere una sintesi importante, quella tra nostalgia e concretezza: forse l’unico modo per rendere la storia viva e motore dell’azione nel proprio tempo, luogo e destino.

La figura di Giovanni Berta assurge alla memoria mitica in un contesto storico di importanza centrale, mai abbastanza ricordato: quello dei tremendi anni tra il 1919 e il 1921, caratterizzati – ad appena un anno dalla Grande Guerra – da un livello violenza politica senza precedenti, che vede i militanti socialisti e comunisti attivamente impegnati ad appiccare scintille di rivoluzione sull’onda lunga dell’ottobre rosso del 1917. Sull’altro versante, il 1919 vede la fondazione dei Fasci di Combattimento: se reazione o semplice reificazione di energie contrapposte al bolscevismo, è una querelle che lasciamo alla storiografia.

Ciò che ci preme raccontare ora è la storia di Giovanni Berta.

Ventisettenne e già veterano della guerra italo-turca del 1911 e della Prima Guerra Mondiale, era militante fascista della prima ora e fu assassinato in maniera efferata da militanti comunisti il 28 febbraio del 1921, sul ponte ‘sospeso’, oggi conosciuto come ponte alla Vittoria sull’Arno, a Firenze.
Non si è mai riusciti a ricostruire i dettagli della vicenda nella loro interezza. Farinacci riferì che, mentre transitava in bicicletta, fu riconosciuto come militante fascista per la spilletta che portava al bavero, altre fonti riferiscono che l’attacco fu premeditato: quel che sappiamo è che fu aggredito da un nutrito gruppo di social-comunisti, malmenato (forse accoltellato) e gettato nell’Arno, dove annegò. Quel che è certo è che fosse incosciente quando cadde nell’acqua, in quanto era nuotatore provetto (aveva difatti servito nella Marina Militare), e il suo corpo presentava fratture e l’impronta di scarponi chiodati.

Comunque siano andate le cose, quel che rimane è – sul piano storico – un ragazzo ventenne barbaramente assassinato. Antonio Pannullo, in un articolo del 2 marzo 2019 sul Secolo d’Italia, paragona la morte di Berta a quella del militante missino Francesco Cecchin, ucciso a Roma nel 1979:

Le analogie tra Giovanni Berta […] e Francesco Cecchin, […] sono davvero parecchie: la più importante è che i colpevoli non sono mai stati presi. L’hanno fatta franca. Entrambi i giovani, poi, sono stati buttati di sotto senza pietà, probabilmente dopo essere stati storditi, dagli avversari politici. In tutti e due i casi, poi, i giovani erano da soli mentre i comunisti erano in parecchi. C’è anche un’altra similitudine: a entrambi i giovani fu sono dedicate altrettante canzoni, nate spontaneamente per ricordare il loro sacrificio. Oltre mezzo secolo distanzia i due omicidi, uno nel 1921 l’altro nel 1979, ma il metodo è sempre lo stesso: isolare il “fascista”, o considerato tale, e ucciderlo senza esitazione. È il metodo dei comunisti, prima del fascismo, durante il fascismo, durante la guerra civile, e dopo la guerra; infine, anche durante gli anni di piombo. E anche oggi c’è chi risolverebbe le controversie politiche nello stesso modo, facendo fuori il fascista di turno.

Sul piano della memoria e del mito, Berta diventa il primo “martire fascista”, termine non particolarmente amato da chi scrive, ma di certo il primo fascista entrato a pieno diritto nella mistica littoria. Come ricorda Pannullo, nascono spontaneamente canti in memoria del giovane, tra i quali il celebre Hanno ammazzato Giovanni Berta ma, soprattutto, colpisce quanto rapidamente la figura assurge a uno status meta-storico. Un esempio su tutti: Asvero Gravelli, ne “I canti della rivoluzione”, addirittura indica Berta come ‘quattordicenne’, come in un evento che da storico diventa mitico.
Lo stesso Mussolini mandò alla tomba di Berta una pietà cinquecentesca di Baccio Bandinelli in occasione del ricordo dei fascisti uccisi a Firenze (27 in tutto); inoltre a Berta fu dedicato il nuovissimo stadio di Firenze (che ovviamente dopo la guerra fu ribattezzato “Comunale” e, nel 1993, Artemio Franchi), un villaggio coloniale in Libia e la Casa del Fascio di via Foria, a Napoli, dalla quale prende poi il nome la storica sezione Berta.

Al giovane militante fu intitolato inoltre un dragamine della Marina Militare, che ebbe anch’esso un triste primato, in quanto fu la prima nave italiana a essere affondata durante la guerra, il 12 giugno del 1940: il mito e la storia a volte si incontrano tragicamente, rammentandoci che la semplice affermazione di esistenza, idea e speranza attiva è spesso legata a doppio filo al sacrificio.

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